Tra le colline di Prato e Pistoia, la Toscana custodisce una delle sue dolcezze più sorprendenti: i Brutti ma buoni toscani, piccoli bocconi di meringa e mandorle che raccontano la semplicità di un territorio dove ogni ingrediente ha un valore. Irregolari, croccanti fuori e morbidi dentro, questi biscotti dal nome curioso sono il risultato di una sapienza artigianale tramandata da secoli, in grado di trasformare pochi elementi “poveri” in un capolavoro di equilibrio e gusto.
Nati dall’incontro fra albumi montati a neve, zucchero e mandorle tostate, i bruttiboni rappresentano l’anima più sincera della pasticceria toscana tradizionale, quella delle botteghe storiche e dei monasteri di clausura, dove ogni ricetta era un atto di pazienza e di amore per la perfezione. Diffusi in tutta Italia con varianti regionali, trovano però nella versione toscana la loro identità più nitida: mandorlata, profumata e luminosa, come la terra che li ha resi celebri.
L’origine dei Brutti ma buoni è avvolta in un piccolo mistero gastronomico. Alcuni storici ne collocano la nascita in Gavirate (Lombardia), altri in Borgomanero (Piemonte), ma in Toscana la tradizione li ha trasformati in un simbolo di artigianalità. Il loro nome locale, “mandorlati di San Clemente”, rimanda a un antico monastero di Prato, dove le monache erano solite preparare biscotti di recupero a base di mandorle.
Secondo il Dizionario delle cucine regionali italiane, i bruttiboni sono originari del Piemonte, ma divennero specialità toscana nell’Ottocento, quando pasticceri itineranti introdussero la ricetta tra Firenze e Prato. Oggi sono riconosciuti come Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) della Regione Toscana — insieme ai cantucci di Prato e al panforte senese — e inseriti nei repertori ufficiali del Ministero dell’Agricoltura.
Nel territorio toscano, la ricetta privilegia mandorle dolci, talvolta con una piccola quota di mandorle amare, amalgamate con albumi e zucchero semolato. La lavorazione si distingue per la doppia cottura: una prima fase di asciugatura in casseruola, dove il composto inizia a caramellarsi, seguita da una seconda in forno, che fissa la struttura e regala la crosta croccante tipica. In alcune versioni antiche, il composto viene adagiato su sottili ostie di pasticceria, come testimoniano le cronache culinarie ottocentesche.
Questa tecnica, tramandata di generazione in generazione, rappresenta l’essenza stessa della cucina toscana: pochi ingredienti, ma grande attenzione al gesto. I bruttiboni, così, diventano un ponte fra tradizione monastica e cultura borghese, tra il profumo di limone e la dolcezza del Vin Santo che spesso li accompagna.
Chi desidera scoprire l’autenticità dei bruttiboni toscani deve fare tappa a Prato, culla della loro diffusione moderna. Nel cuore del centro storico, il celebre Biscottificio Antonio Mattei — fondato nel 1858 — è ancora oggi un punto di riferimento della pasticceria artigianale toscana. La leggenda racconta che fu la “zia Italia” della famiglia Pandolfini, nei primi del ’900, a introdurre i bruttiboni nel laboratorio Mattei, riutilizzando le mandorle e gli albumi avanzati dai cantucci. Da allora, questi biscotti “imperfetti” sono diventati una presenza fissa accanto ai più noti cantuccini di Prato.
Anche Pistoia conserva laboratori artigianali che custodiscono la tradizione dei mandorlati di San Clemente. Passeggiando per le vie del centro, non è raro imbattersi in pasticcerie che profumano di zucchero caramellato e mandorle tostate. In particolare, i forni storici della zona propongono ancora la versione su ostia, fedele alle origini conventuali.
Per i viaggiatori gourmet, esistono veri e propri itinerari del gusto dedicati ai dolci toscani: percorsi che collegano Prato, Pistoia e Montecatini Terme, con degustazioni guidate e visite a laboratori storici.
I bruttiboni si acquistano tutto l’anno, ma il periodo ideale per gustarli è l’inverno, quando le pasticcerie li propongono in confezioni regalo, spesso abbinate al Vin Santo DOC toscano o ai vini muffati della Valdichiana. Sono perfetti come souvenir gastronomico, da condividere o regalare, perché rappresentano una delle espressioni più autentiche della dolcezza toscana.
Riprodurre i bruttiboni toscani a casa è semplice, ma serve precisione. La ricetta tradizionale, prevede tre ingredienti fondamentali: mandorle, albumi e zucchero.
Il risultato deve essere croccante all’esterno e tenero al cuore. Alcuni maestri consigliano di spolverare leggermente di zucchero a velo a fine cottura per esaltarne l’aroma.
I bruttiboni si conservano per settimane in scatole di latta ermetiche, ma difficilmente resistono tanto: la loro fragranza li rende irresistibili con un bicchiere di Vin Santo o un caffè espresso.
Per chi desidera sperimentare, sono ottimi anche sbriciolati su gelati artigianali alla crema o come base croccante per dessert al cucchiaio. Così, da biscotto di tradizione contadina, i bruttiboni diventano un dolce moderno, versatile e perfetto per rappresentare la dolcezza autentica della Toscana.